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domenica 24 giugno 2012

Umorismo in musica...parte II

Buon pomeriggio,


Come potete vedere da questa fotografia, il mio lavoro di riordino del curriculum è in alto mare... Voi direte: "Di che ti lamenti...sei un PESCE!"... Io vi rispondo: "avete ragione ma...in questo caso, e in questo caos, mi sento proprio un PESCE FUOR D'ACQUA!" In realtà il mio curriculum fa acqua da tutte le parti...troppe cose...troppo disordine...troppa confusione...

Quindi lascio al mio collega Andrea Gherzi, musicista di Torino, il compito di intrattenervi nel POST pomeridiano. Pubblico, pertanto, la seconda parte del suo interessante saggio "Umorismo in Musica"... Leggetelo con attenzione. Ci sono tante cose interessanti da imparare e, con il passare delle righe, arriveranno tante cose divertenti...degne delle migliori PESCIADI...

Questo il link alla prima parte:


E ora...la seconda parte... Buona lettura.

Andrea Gherzi, Umorismo in Musica (seconda parte)

D’altra parte va ribadito che, se l’ironia haydniana concorre a rivelare la presenza dell’autore e dunque si configura già come elemento romantico (che passa nell’Ottocento grazie a Beethoven), non raggiunge in musica la posizione indiscussa ottenuta in letteratura. I lavori strumentali non programmatici non sono in grado di esprimere l’ironia al di fuori di una ristretta cerchia di addetti ai lavori, cioè musicisti dilettanti e critici, che infatti sono gli unici che scrivono e possono discettare sull’argomento. Nella cosiddetta musica assoluta non esistono elementi probanti per offrire la necessaria base referenziale all’artificio retorico di dire una cosa per significarne un’altra.
In antitesi a tale assunto abbiamo la famosa asserzione che Stravinski fa nella “Poetica musicale”, secondo cui la musica non esprimerebbe proprio nulla, essendo il suo linguaggio esclusivamente formato da suoni privi di qualsivoglia significato razionale estraneo alla pura relazione fonica delle note. Da un certo punto di vista tale affermazione, quantunque brusca e non priva di una vena polemica (almeno in relazione all’ambito a al modo in cui venne enunciata), non sembra affatto immotivata o gratuita.
Basta riflettere un poco su una figura di compositore iconoclasta quale fu il francese Erik Satie (dall’amico umorista Alphonse Allais soprannominato “Esotèrik Satie”): dadaista ante litteram che ancora oggi viene ricordato come un maestro della parodia, ribelle e anticonformista, colui che innalzò l’umorismo a sistema, mettendo in berlina i parrucconi conservatori ligi alla tradizione accademica. Non è difficile divertirsi sfogliando le sue composizioni pianistiche, fra le quali si trovano indicazioni interpretative per lo meno singolari - “Con stupore”, “Lento, senza schiacciare”, “In punta di denti, quelli in fondo”, “Non arrossisca sulle dita”, “Faccia meglio che può” - che ricordano certe notazioni salaci e non di rado scurrili dell’umorismo mozartiano: alludiamo a partiture come i concerti per corno, ricchi di coloriti epiteti indirizzati al dedicatario, il cornista Leutgeb.
Ora, se consideriamo alcune composizioni per pianoforte di Satie, quali Trois morceaux en forme de poire, En habit de cheval, Pièces froides, Sports et divertissements, Préludes flasques, Descriptions automatiques, Prélude en tapisserie, Les trois valses du précieux dégoté, Trois airs à faire fuir, Peccadilles importunes, Embryons desséchés, Sonatine bureaucratique, Prélude canin, Avant-dernières pensées, notiamo che l’ironia consiste - o meglio si coglie - tutta nei titoli, che l’Autore scelse per motteggiare coloro che gli rimproveravano mancanza di forma o altre imperizie. Tranne in rari casi, la musica di per sé non esprime ironia, proprio perché non è in grado di farlo, almeno per chi non sia già sull’avviso, o per chi non sia intenzionato a recepirla. La stessa Sonatine buréaucratique, che fa il verso all’op.36 n.1 di Clementi, costituisce un indubbio divertimento soltanto per chi conosca bene l’originale clementino; altrimenti tutto si riduce a un pezzo piuttosto formalista di stile neoclassico. Parimenti quelle interminabili cadenze, che dovrebbero rappresentare la quintessenza della burla musicale perpetrata alle spalle di vecchie formule scolastiche, al profano suscitano soltanto la noia della stucchevole ripetizione, della provocazione gratuita.
Il maestro Roberto Cognazzo, che spesso dedica concerti al tema dell’umorismo musicale, ci conferma che la comicità non scaturisce direttamente dalle note, ma risulta dall’attribuire ad esse un qualche significato dall’esterno. Potemmo verificare personalmente questo fatto assistendo a un suo concerto pianistico di tarde composizioni rossiniane, quei Péchés de vieillesse i cui titoli spiritosi possono ricordare le gustose parodie di Satie: in essi ritroviamo infatti il motteggio di alcuni aspetti eccessivi e bizzarri della sentimentalità romantica.
Il pubblico si era divertito nell’ascoltare i sapidi commenti sui vari episodi di Un petit train de plaisir comico-imitatif (VII fascicolo dei Péchés), mano a mano che l’esecutore li leggeva. Qui osservammo come in effetti le situazioni esilaranti venissero prodotte dalla relazione fra la musica e le notazioni grottesche disseminate in margine. Per averne piena conferma approntammo un esperimento, proponendo il medesimo brano a una persona ignara dei presupposti extramusicali senza farle preventivamente conoscere il commentario umoristico di Rossini: il risultato ci diede ragione perché l’ascoltatore prese tutto quanto per buono senza batter ciglio, cioè non colse alcuna ironia. Ne deriva che l’umorismo volontario in musica nasce dai musicisti rivolto ad altri musicisti, mentre l’umorismo involontario si origina da chiunque ed è per tutti, essendo l’unico veramente fruibile anche dai non addetti ai lavori.





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